La realtà vista da una prospettiva differente

So quello che sono e sogno quello che non posso essere, ma non mi illudo di essere quello che sogno

mercoledì 24 dicembre 2014

Natale: se non sei pronto ad accettare la vita con ottimismo, è meglio che te ne stai zitto!

L'esempio di Zaccaria
Zaccaria è un sacerdote, padre di Giovanni Battista, l'ultimo grande profeta chiamato a preparare la venuta di Gesù.
Ebbene, durante le funzioni sacerdotali nel santuario del Signore (luogo accessibile solo ai sacerdoti) gli appare un angelo che preannuncia la gravidanza della moglie ormai in là con gli anni. 
L'angelo parla di vita, dell'allegria e della felicità che porterà questo bambino, perché pieno di Spirito Santo.
Ci manca poco perché Zaccaria non si metta a ridere: "Come posso avere la certezza di ciò?". Non ci crede Zaccaria: lui, uomo dedito al culto da una vita, non riconosce l'angelo, ne ha paura e poi non crede alle sue parole.

Visto che non hai creduto, sarai muto
Per la sua incredulità, non ha nessuna buona novella da portare al mondo; tanto vale che se ne stia zitto!
Fanno sorridere i gesti con cui Zaccaria si esprime durante la gravidanza della moglie, sono quasi comici. 
Una volta nato il bambino, è costretto a scrivere su una tavoletta il nome che vuole mettergli. E, finalmente, la sua lingua si libera! Può di nuovo annunciare il Signore!
La paura della gente
Eh no, qui c'è qualcosa di strano: un padre che resta muto, poi ricomincia a parlare; un nome che non c'entra niente con la tradizione familiare di apporre nomi dei genitori o dei nonni. 

E siamo solo agli inizi
Quel bambino sarà un profeta del deserto, uno che incita la gente alla conversione e ad azioni concrete (dare due tuniche a chi ne ha una, non approfittare della propria condizione sociale o del proprio lavoro, ecc.), non un classico sacerdote del tempio, dedito al culto e alla riscossione delle offerte.
Non resta che stare a vedere.

Chi può parlare di Dio?
Questa la grande domanda: può parlarne solo chi è illuminato dal Suo Spirito. A nulla vale essere sacerdote, ricco, famoso. Lo Spirito è come il vento, soffia dove vuole (Gv, 3 ,8).
E la vita è lo specchio dell'anima di un uomo, quindi...

Natale
Beh, se siamo eternamente pessimisti, chiusi ad ogni cambiamento, ciechi di fronte al nostro prossimo, pronti sempre a vedere il lato negativo e così patetici da voler prevedere tutto nella nostra vita, non ha senso festeggiare il Natale.
Due diverse prospettive
Il povero Zaccaria, come molti anziani, è attaccato alla tradizione, al "facciamo come si è sempre fatto". All'annuncio della novità dice che non è possibile.
Maria invece, da giovane "sbarazzina" chiede come sia possibile che resti incinta. Sottile differenza, ma fondamentale: vediamo subito il negativo, gli ostacoli, o ci chiediamo come fare per raggiungere il nostro obiettivo, prendendoci del tempo ed ascoltando per poter rimuovere gli ostacoli?

Buon natale!

venerdì 12 dicembre 2014

La storia di Claudio, quando la sofferenza non si può spiegare, tutto sta nel fermarsi ad essa o riuscire ad andare oltre




Come accettare tanto dolore?
La riflessione di Claudio: cerco l'umano
Condivido qui pensieri scambiati con Claudio, che per anni è stato membro di una comunità di Salvador che aiuta le persone di strada e/o dipendenti da stupefacenti. Per anni ha condiviso la vita di tutti i giorni, assieme alla moglie, conosciuta in comunità, con persone non facili, per usare un eufemismo, a volte dovendo affrontare situazioni di crisi di astinenza degenerate in atti di violenza, anche se non nei suoi confronti. 
caravaggio flagella
Claudio è sicuramente un tipo "particolare", nell'aspetto (biondo, molto stempiato con i pochi capelli, che ha lasciato crescere raccolti in una coda, alto quasi 1 metro e 90 centimetri, ma con soli 60 kg di peso, vegetariano) e nel modo di fare, sempre calmissimo, silenzioso, lento nei movimenti, ma infaticabile nei lavori manuali, tanto di muratura quanto di lavorazione del legno. 
Di forte spiritualità cristiana, vissuta veramente nella costante preghiera interiore, trasmette alle persone con cui parla una pace e fa sentire a proprio agio; per questo tutti amano parlare e sfogarsi con lui.
Ebbene, ha condiviso con me un suo pensiero costante sul dolore.

Se lo combatti o le neghi perdi, se lo affronti puoi fare qualcosa
Si riferisce soprattutto al dolore autoinflitto dalle persone, oppure a quello verso i più indifesi. Inizialmente, la rabbia e il voler far giustizia non gli permetteva di trovar pace. Si sentiva l'avvocato dei poveri e la rabbia prevaleva, oltre ad un costante senso di allerta, pronto a scattare per le ingiustizie non appena si manifestassero.
Stava cadendo nella violenza, nel reclamare senza risolvere nulla.
Finchè...
...vinto dalla nausea lascia il lavoro di camionista nel sud del Brasile per dirigersi, mezzo in autostop e mezzo a piedi, verso il nord-est, terra di sua madre. Per caso conosce la comunità della Trinità e viene subito colpito dalla spiritualità al servizio del recupero dalla dipendenza dalle droghe. 
Qui, mette le sue competenze manuali al servizio degli altri.
Partecipando alla vita comunitaria, sente ripetere spesso di questo Dio che si umanizza, che condivide il dolore umano...
Un Dio umano prima di tutto, e non giustiziere.
Ma, allora, non è onnipotente?
Il concetto di onnipotenza, dice lui, viene dalla filosofia, non dal Vangelo, che dice che "Dio nessuno l'ha mai visto. Solo il Figlio", quindi le nostre speculazioni sono inutili.
Tuttavia il Dio del Vangelo è un Dio che si incontra negli uomini ("Ogni volta che farete una cosa a uno di questi piccoli, la farete a me"), un Dio che dona la vita, e che, incarnandosi, condivide il nostro universale desiderio di felicità.
Padre, Misericordioso, Buon Pastore.

Non c'è un perché. Ma fai ciò che puoi e incontrerai Dio
La mentalità di Dio non è la nostra. 
La Bibbia dice:

Potrà forse discutere con chi lo ha plasmato
un vaso fra altri vasi di argilla?
Dirà forse la creta al vasaio: «Che fai?»
oppure: «La tua opera non ha manichi»?
(Isaia 45,9) 

Cercare il Trascendente nella profondità e a partire dalla profondità dell'umano; e, proprio nella ferita del fratello, da noi condivisa scorgere una Presenza nascosta

Volontariato

Un'esperienza che può cambiare la tua visione del mondo

Se vieni a Salvador per un buon periodo di tempo, non mancare di uscire dal circuito turistico. 
Non chiudere gli occhi alla realtà vera.
Non accontentarti del mondo fittizio in cui vogliono relegare i turisti.

Se vuoi qualche idea, vedere una realtà di periferia, visitare un progetto sociale o partecipare attivamente come volontario, non esitare a contattarmi.

Qualche esempio
-Visitare un orfanotrofio per bambini e ragazzi vittime di violenza.

-Visitare un centro diurno per la socializzazione di persone di strada, con attività e dinamiche di gruppo realizzate da psicologi, assistenti sociali e volontari.

-Visitare una comunità che accoglie persone di strada e tossicodipendenti dentro una chiesa che era abbandonata, con la spiritualità come parte fondamentale del processo di recupero della salute e della dignità delle persone.
-Uscire la notte per incontrare il popolo di strada, che non ha casa e che, molto spesso, è caduto nella dipendenza dalla droga.

-Svolgere attività di strada (disegno, giochi vari) con bambino di quartieri popolari.

In sostanza, puoi incidere davvero sulla vita delle persone, di te che leggi e di quelli che potresti incontrare.



Ong Internazionali
Numerose sono le Ong internazionali, basta farsi un giro su internet, soprattutto nell'educazione con bambini delle favelas; molte di queste richiedono un contributo per poter essere volontari, oppure specifiche competenze in ambito educativo o sanitario, principalmente.

Ong locali
Ma esistono anche numerose associazioni o organizzazioni senza scopo di lucro a livello locale che, avendo meno entrate di una Ong internazionale, sono molto più ben disposte ad accogliere volontari, anche con poca esperienza.

Per quanto tempo e quante ore settimanali?
E' fondamentale rispondere a queste domande; pensiamo per esempio a chi fa volontariato con i bambini: si instaurerà presto un rapporto profondo, soprattutto se questi, per esperienze già vissute, sono emotivamente fragili e bisognosi di figure di riferimento adulte che svolgano la funzione di genitori magari assenti.






martedì 19 agosto 2014

Sorridere alla vita, nonostante tutto: la storia di T.



Molto spesso i bambini di strada sono più difficili da approcciare rispetto agli adulti: scaltri, furbi, cercano sempre di ottenere qualcosa, puntando sulla pena che proviamo per loro.
Beh, T., 8 anni, non è niente di tutto ciò: sì, sa come ottenere qualche spicciolo o un gelato, ma non è diffidente, non finge, non usa la sua situazione. Insomma, non ha paura di chiedere affetto, di sperare che qualcuno lo ami e non lo sfrutti per chiedere soldi, senza nascondere le proprie ferite. Conosce pure il Padre Nostro e l'Ave Maria e prega sempre prima di dormire.


Lui ha deciso, di fronte ad una vita così avversa, di guardare il mondo con speranza e di provare a fidarsi del prossimo, una cosa che noi grandi dovremmo imparare. E' molto più libero di tanti adulti, perché ha capito che, indipendentemente dalle condizioni esterne, la felicità è una scelta, non una sensazione di piacere passeggera, un effimero illudersi o dimenticarsi della realtà, ma un atteggiamento, una visione del mondo e delle relazioni che dipende solo da noi.

Non so come questo sia possibile, vista la sua breve ma impietosa storia di vita: figlio di due dipendenti chimici, sfruttato dalla madre per racimolare elemosine con cui mantenere la propria dipendenza e cibo per sfamarsi, abbandonato poi da quest'ultima che è dovuta sparire per i debiti accumulati con i trafficanti; affidato ad una zia che ha altri 6 bambini, non so sé figli suoi o di parenti; abbandonato pure da quest'ultima, che l'ha riportato nella piazza in cui era cresciuto, affidandolo ad un gruppetto di  3 senzatetto (due ragazzi fra 20 e 30 anni e una sedicenne al nono mese di gravidanza), gli unici che si sono davvero presi cura di lui e che gli hanno mostrato almeno un po' cosa sia una famiglia. 
Oltre a tutte le altre persone che, passando per quella piazza tutti i giorni, si sono intenerite di fronte al suo sorriso.

Ma T. è andato ad incasinarsi: è stato minacciato da dei ragazzini che fanno parte di un brutto giro e i suoi amici di strada non possono difenderlo. Il sorriso si è ora affievolito sul volto di T., impaurito da quest'ultimi, non dalla vita. La soluzione è una casa d'accoglienza.

T. sorride di nuovo, adesso. Ha una 'famiglia': una madre sociale e altri 8 bambini con cui divide la casa. Mi mostra contento il letto, i vestiti (3 paia di pantaloni e 3 magliette) che gli sono stati regalati. Parla e scherza con tutti, racconta di nuovo gli indovinelli e le barzellette. Fra poco potrà andare a scuola, uscire con i nuovi amici sulla spiaggia di fronte, fare un bagno e dormire in un letto.

Lui aveva già scelto di sorridere alla vita, nonostante tutto. E, ora, la vita sembra finalmente sorridergli.

sabato 19 luglio 2014

Uomo, dove sei?

"Sono stanco di questa vita! Ho toccato il punto più basso della vita di un uomo: vivere in strada accanto alla spazzatura. Il mio letto è un cartone. Il mio lenzuolo... tutto bucato. Sono sposato, ho due figlie. Mi mancano solo 254 km per tornare a casa. Ma dopo due anni di questa vita, mi sono svegliato solo da 20 giorni; da quando ho smesso di drogarmi. Voglio tornare a casa. Ho solo bisogno che un buon uomo mi compri il biglietto per andare a casa.
Ma dove ero? Come si può continuare così? Basta.
http://www.tribunadecianorte.com.br/
Quando sarò a casa farò una promessa con Dio, affiderò la mia vita a Gesù, perché non cada più in questa voragine. Voglio la mia famiglia.
Non so neanche se farmi schifo o pena. Guardami: sono sporco, fino a qualche giorno fa avevo i capelli inguardabili e non sarei riuscito a dire due parole sensate. Ma come sono potuto arrivare così in basso? Dove'ero finora? La mia anima soffre. Io ho anche un'anima". Jairo

Dio chiede ad Adamo: "Dove sei?". Ma Dio sa già dove si trova Adamo. La sua domanda è un invito ad un'analisi verso noi stessi, chiede a tutti noi, in ogni tempo: "Dove sei nel tuo mondo? Cosa hai fatto dei giorni e degli anni a te assegnati?".
Adamo si nasconde: non vuole render conto della propria vita, cerca un sotterfugio. Ma sfugge a se stesso. 
Sembra facile sopprimere la voce di Dio e della nostra coscienza. La Bibbia dice che la voce di Dio è "voce sottile di silenzio" o "voce di un silenzio simile a un soffio" (1 Re 19, 12). Storie di tribù africane raccontano come anche l'azione commessa nel più gran segreto, prima o poi viene fuori e che ad un assassino persino gli uccellini e gli alberi sembreranno accusarlo, dopo l'azione commessa.
Svegliarsi è il primo passo. Che sia dalla droga o dal torpore del consumismo. L'importante è non farlo troppo tardi. In due anni chissà quante volte la moglie, le figlie e i parenti avranno cercato Jairo. Quanto il suo cuore ne avrà sentito la mancanza, sotto la spessa coltre della droga, presenza estranea che lo ha strattonato sempre più giù. 
Martin Buber afferma che esiste una domanda demoniaca, che scimmiotta la domanda della verità. Essa non si ferma al "Dove sei?", ma prosegue: "Nessun cammino può farti uscire dal vicolo cieco in cui ti sei smarrito". E' la nostra lotta contro l'attaccamento ai dolori e alla sofferenza. 
Svegliamoci, la voce di Dio non si stanca di chiamarci.




mercoledì 2 luglio 2014

Fratello, dove sei?


Capita di conoscere alternative alle parabole classiche dei vangeli, in questo caso, quella del figlio “prodigo”. Il vangelo di Luca 15, 11-32 racconta la storia di un fratello minore che, chiesta al padre la propria parte di eredità, se ne va in un paese lontano e spende tutto in una vita dissoluta; poi, spinto dalla fame e dalla miseria (il vangelo non specifica se vi siano anche motivazioni affettive), torna dal padre per offrirsi come operaio. Il padre gli corre incontro quando lo vede da lontano e prepara una festa per il figlio ritrovato, causando l'invidia del maggiore. Il padre, allora, cerca di convincerlo a partecipare alla sua gioia: “Tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”. La parabola finisce così, senza rivelare se il figlio maggiore decide di partecipare alla festa o restare imbronciato o se i due fratelli si riparleranno mai.



Alberto è il fratello maggiore. E' in strada da una settimana, arrivato da San Paolo per cercare il fratello, José, dileguatosi da vent'anni. E' il suo terzo tentativo di rintracciarlo e, finalmente, sembra la volta buona. Un conoscente di San Paolo, venuto in vacanza a Salvador, ha detto di averlo avvistato nel centro storico, nelle vesti di un mendicante, così lui è partito sulle traccie di questa semplice voce.
Arrivato qui, ha trovato chi lo conoscesse, ma José non si trova più al centro storico. Dicono che stia usando qualche “sostanza” e che ora frequenti la Cidade Baixa. Alberto ha scelto di prolungare la permanenza, ma i soldi per dormire non ci sono, così passa le notti in strada, assieme ad altri cinque uomini con cui condivide una tettoia al Largo di Roma. Ogni giorno va in una zona della Cidade Baixa (espressione generica con cui sono indicati diversi quartieri di Salvador) e chiede informazioni del fratello.

Vent'anni: chissà quanto sarà cambiato, fuori e dentro! Ma ad un fratello vero non importa.

“Quando lo avrò trovato, chiamo i miei e mi faccio mandare i soldi per i nostri biglietti di ritorno”. Non ha dubbi che lo seguirà, che tornerà alla vita di prima, meccanico nell'officina di famiglia.

“E lui viene con me! Lavorerà nella nostra officina” indicando il compagno di strada che lo sta accompagnando tutti i giorni per le strade di Salvador. “Beh, io sono di Salvador, ma i miei sono morti, fratelli non ne ho, quindi... In realtà sono muratore, ma posso imparare”.

Cosa lo avrà spinto a partire? Forse Alberto lo saprà. O forse no.
Ma ciò che mi resta di questo incontro è l'accoglienza reciproca verso Alberto, praticamente accolto in casa dai compagni di strada, al riparo dalla pioggia e dai pericoli.
Oltre all'immensurabile amore di Alberto, al suo coraggio e sprezzo del pericolo e dell'ignoto. Forse anche un po' ingenuo, ma l'Amore è così concentrato sull'Amato da non pensare ad altro che al riabbraccio.



giovedì 22 maggio 2014

Suore in campo contro la schiavitù della prostituzione durante la Coppa

Interessante iniziativa di un gruppo di religiosi che cerca di far venire alla luce anche i retroscena del prossimo evento mondiale. 

Per quanto riguarda la realtà di Salvador, ricordo che la periferia della città, specialmente la zona denominata Subúrbio ferroviario è una delle aree maggiormente sfruttate dagli aguzzini che reclutano ragazzine principalmente di famiglie povere per imbarcarle in navi nella vicina "Morro de São Paulo". Attraverso il mare, infatti, i controlli di frontiera possono essere facilmente elusi. Non mancano iniziative locali ed internazioni volte a disincentivare questi crimini, ma, spesso l'appoggio dei "piani alti" riesce a farla franca. La fonte di tutto ciò sono testimoniante da me raccolte presso assistenti sociali e Ong internazionali presenti a Salvador.


dal sito: http://vaticaninsider.lastampa.it/

Prostituzione ai mondiali del Brasile, la rete dei religiosi contro la tratta


 
 
Una campagna contro lo sfruttamento della prostituzione
(©lapresse)
(©LAPRESSE) UNA CAMPAGNA CONTRO LO SFRUTTAMENTO DELLA PROSTITUZIONE

Presentata in Vaticano la campagna Talitha Kum. Coinvolti 79 paesi con oltre 800 religiosi di 240 congregazioni interessate. “Senza sensibilizzazione la festa diventa terribile vergogna”

IACOPO SCARAMUZZICITTÀ DEL VATICANO
“Dobbiamo rendere consapevoli le persone di quanto accade ai margini dei grandi eventi internazionali come i mondiali di calcio” perché “senza questa consapevolezza e senza agire insieme in favore della dignità umana, le finali della coppa del mondo possono risultare una terribile vergogna invece che una festa di per l'umanità”. E’ suor Carmen Sammut, presidente dell’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg), a spiegare le ragioni della campagna di Talitha Kum (rete internazionale della vita consacrata contro la tratta di persone) presentata oggi in Vaticano in vista del mondiale di calcio Brasile 2014 e intitolata  “Gioca per la vita, denuncia la tratta”. L’impegno di religiosi e religiose contro la “tratta” degli esseri umani, e in particolare la prostituzione, problematica ben nota a Papa Francesco, si scontra contro non poche difficoltà, non escluse alcune connivenze di alto livello, ma punta a rompere il silenzio attorno a questo tema con la grazie alla vasta rete che la vita consacrata ha in tutto il mondo.


La campagna “manifesta la sintonia della vita consacrata con il sentimento del nostro Santo Padre di fronte a questo crimine che egli stesso definisce una piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo”, ha detto il cardinale Joao Braz de Aviz, porporato brasiliano di Curia nonché prefetto della congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, il dicastero vaticano responsabile dei religiosi di tutto il mondo. I religiosi e le religiose “si trovano in tutto il mondo impegnati nella loro missione in mezzo a tutte le forme di povertà e toccano con le loro mani, l'umiliazione, la sofferenza, il trattamento inumano e degradante inflitto a donne, uomini e bambini di questa schiavitù moderna”. La campagna, nata come “Religiose contro la tratta di persone”, nel 2009 si è trasformata in una “Rete Internazionale di Vita Consacrata Contro la Tratta di Persone” promossa da Uisg e Oim (Organizzazione internazionale per i migranti) e finanziata dal governo Usa (presente alla conferenza stampa moderata dal portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, anche Antoinette C. Hurtado dell’ambasciatrice statunitense presso la Santa Sede). Dopo cinque anni, ha detto da parte sua suor Estrella Castalone, coordinatrice di Talitha Kum, la campagna “comprende 24 reti che rappresentano 79 paesi con oltre 800 religiose/religiosi di 240 congregazioni coinvolti, tutti impegnati a fermare la tratta di persone”.


A fornire i dettagli della campagna è stata, nel corso della conferenza stampa, suor Gabriella Bottani, comboniana italiana che abita in Brasile e coordina oltre 250 religiosi della rete “Um Grito pela Vida”, membro di Talitha Kum. La campagna “promuove azioni preventive di presa di coscienza e formazione, sostiene le persone che denunciano la tratta, segue il reinserimento psico-sociale delle vittime e partecipa alla definizione di linee politiche e di progetti sociali”. Concretamente la campagna “utilizza media e social network per informare e sensibilizzare la popolazione sui possibili rischi e su come intervenire per denunciare eventuali casi” e sarà presente nelle 12 capitali brasiliane che accoglieranno le partite dei mondiali. Il materiale in lingua portoghese è disponibile nel blog della Rete 'Um Grito pela Vida' e tutte le azioni della campagna sono divulgate sulla pagina facebook “jogueafavordavida”.


Le persone trafficate in Brasile, ha precisato la religiosa comboniana, “sono per la maggior parte donne giovani, originarie di famiglie povere, con bassi livelli di studio. La finalità principale è lo sfruttamento sessuale”. Nel contesto latinoamericano e caraibico “il Brasile – ha spiegato – è un paese con un’alta percentuale di turismo a scopo sessuale e questo incide significativamente sul fenomeno dello sfruttamento della prostituzione soprattutto minorile e spesso apre le porte al traffico interno o internazionale”. La “mancanza di conoscenza della realtà della tratta di persone da parte della popolazione e la scarsa informazione veicolata dai mezzi di comunicazione – ha detto –  sono tra le principali cause che la rendono un fenomeno poco visibile, quasi impercettibile” e “nelle campagne pubblicitarie, le donne vengono prevalentemente presentate come oggetti di piacere sessuale e consumo, all’interno di un sistema socioeconomico centrato sulla logica esclusiva del mercato, dove il lucro è spesso al di sopra delle persone. Questo – la conclusione – favorisce l’azione di chi, offrendo false promesse di lavoro e di vita migliore, alimenta il ricco commercio di persone”.


L’esperienza del passato “ha messo in evidenza che i rischi della tratta per sfruttamento sessuale e del lavoro si incrementano in relazione ai grandi eventi, come è stato durante i mondiali in Germania e in Sudafrica, dove si è avuto rispettivamente un aumento del 30 e del 40%”. Dati certi, però, non ci sono: “Sappiamo che c'è un aumento dello sfruttamento della prostituzione, ma la tratta è un fenomeno su cui abbiamo poche informazioni, pochi dati e questo è una grande difficoltà.

venerdì 2 maggio 2014

Due disperati gridi di attenzione: Carla e Marina

dal blog gliocchiscuridelsamba.blogspot.com.br

La notte tranquilla per alcuni, non lo è per loro due. Due donne più o meno coetanee, sulla trentina. Una chiara di pelle, l'altra scura. Una di Salvador, l'altra di un altro stato del Nord-est brasiliano. Entrambe senzatetto, entrambe con dipendenza da alcool e droga.

Quando arrivo in comunità, Carla è già buttata per terra, sul marciapiede, delirante, come minimo ubriaca. Non c'è verso di calmarla. Nel suo dimenarsi contro un avversario invisibile impreca contro la polizia, dicendo di non voler essere arrestata, chiama la mamma, minaccia di morte, chiede di essere uccisa, ci domanda perché non l'ammazziamo subito, etc. Grida di dolore, si mescolano al pianto, diventando grida di disperazione, di rabbia contro il mondo ma, soprattutto verso sé stessa, sporca di urina e feci che, nel trambusto, ha fatto nei propri pantaloni. Sdraiata per terra, si contorce e rotola sul marciapiede, rischiando di finire in strada, dove le auto sfrecciano a 60-80 km/h sul rettilineo ampio a 4 corsie. Frenare la sua corsa verso la strada non è facile, ci prendiamo qualche pugno per farlo. Cerchiamo di calmarla, le prepariamo un giaciglio con del cartone ed una coperta dove calmarsi; senza risultati. La situazione si protrae finché un suo conoscente ci suggerisce di portarla nel luogo dove dorme abitualmente, una tettoia di fronte ad un magazzino a circa 400 m da lì. Ma non si convince ad andare. Non c'è un dialogo fra il suo mondo ed il nostro.
Tocca prenderla a forza, in quattro, tanto si dimena e vista la corporatura pesante, che ci costringe a riposarci due volte lungo il cammino. Ma, finalmente, arriviamo. La lasciamo lì, accanto al giaciglio di cartone e coperta.
Mi impressiona al pari di Carla l'indifferenza delle auto che sfrecciano accanto a noi, visto che la situazione è molto equivoca e potremmo essere scambiati per malintenzionati che portano una donna chissà dove: nessuno che si fermi, nessuno che ci domandi spiegazioni, nessuna coscienza che si interroga e si esterna in una parola rivoltaci o in uno sguardo stupito.

Marina invece è sobria, ma non mangia da ieri, quando si è ubriacata, quasi a stomaco vuoto, fino a perdere i sensi. La cachaça (acquavite a 40°) è la sua droga ed ammette di sentirne il bisogno. Ma più di questo ha fame. Ha sempre un volto triste, deluso, di chi si è fidata ed è stata tradita. Parla un po' con me, cosa faccio, da dove vengo. Lei non è di qui, le piace Salvador, anche se ultimamente si è stancata. Mi dice che non fa nulla da mattina a sera. Alla fine mi dice che le è venuta voglia di fare un figlio con me, che ancora non ha figli ed è venuto il momento. Così, senza sapermi spiegare il perché, continua con la sua proposta. Mi confida che si sente sola, ed infatti non l'ho mai vista accompagnata e la vita di strada, per una donna sola, è molto più difficile. Poi, per fortuna arriva la minestra e, subito dopo, Marina si sdraia e può, finalmente riposare, almeno per questa notte sobria e senza fame.

Due gridi di dolore disperati, verso tutti e nessuno. Due gridi pieni di dolore per occasioni sprecate, promesse non mantenute, anche verso sé stessi. Due vite nascoste, non riconosciute, ignorate. Le macchine sfrecciano accanto senza fermarsi. Una donna è buttata per terra, 5 uomini le stanno attorno, la portano a peso e nessuno si indegna, si interroga, si ferma. Così le loro occasioni sono sfrecciate loro accanto. Forse qualcuno si è fermato, ma poi è ripartito. E, loro, rimaste lì. Gli altri, la società “normale” tranquilli nel loro torpore quotidiano organizzato. Loro no, non ce la fanno a non reagire. Ma fanno male a loro stesse, non avendo altra scelta.
Finché la loro forza di volontà non reagirà, continueranno a restare nel fosso. Finché si rivolgeranno all'alcool e alla droga, continueranno a vedere le auto sfrecciare accanto e, loro, a piedi, buttate in qualche deprimente marciapiede di una metropoli.

“Non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo” (Lc 6, 44)

venerdì 18 aprile 2014

Noemi, madre senza figli

http://vigilanzaprivatagpg.wordpress.com/

Incontro Noemi durante un'uscita notturna realizzata con la comunità la notte del giovedì santo.
È sdraiata su una panchina di cemento, ai piedi della collina del Bomfim, famoso punto turistico meta di pellegrinaggio per migliaia di persone ogni anno.
Non dorme. Veglia. Sola. L'unica donna sola che abbiamo incotrato. Le donne di solito non stanno mai da sole; sarebbero facile preda di chiunque volesse abusare di loro, nelle deserte strade notturne della metropoli tropicale.
Lei no. Dice che è fuori dai cattivi giri della droga, dell'alcool e della delinquenza, grazie a Dio. E se qualche malintenzionato si avvicinasse, si metterebbe a gridare. E poco più in là, nella stessa piazza, qualcuno c'è, mezzo nascosto sotto gli alberi e a ridosso del muro.
È magra, scura, ma con occhi molto vivi e non smorti o "ipnotizzati" come chi usa sostanze stupefacenti.
Ha lasciato la casa a 15; da allora ha svolto ogni tipo di lavoro, sempre senza garanzie.
Ha una certa cura negli abiti. Accanto a se un grande sacco, probabilmente con vestiti e due discrete borse da signora.
Avrà fra i 30 e 40 anni, difficile stabilirlo con precisione.
Come la maggior parte delle persone che incontriamo, anche lei si confida e si apre con noi, senza timore, offrendoci le sue pene e i suoi progetti con semplicità.
Ma c'è un fatto che mi colpisce tremendamente: alla domanda se abbia dei figli risponde: 
"Sono incinta". 
Io: "Del primo figlio?" "No, Ne ho avuti altri tre. Ma sono tutti morti. Tutti su strade sbagliate della droga e della violenza".
Una frase buttata lì con una leggerezza raccapricciante. Non riesco più a dire nulla. 
Quali sentimenti dietro ad un simile esprimersi? Rassegnazione, noncuranza per evitare di soffrire, senso di colpa più o meno superato relegando l'avvenimento al passato remoto, fede inattaccabile, superficialità, freddezza...
Non lo so. Forse è l'unico modo per sopravvivere a 3 perdite di una parte di sé. Certamente è una sconfitta per tutti noi, che certamente non abbiamo dato nulla affinché un'alternativa si offrisse concretamente a Noemi. O forse non ha saputo cogliere le possibilità offerte da qualcuno...
So solo che mi ricorda tanto la samaritana di cui narra il Vangelo di Giovanni (Gv 4, 5-42): abbandonata 5 volte da 5 uomini, costretta ad attingere acqua nello ore più calde della giornata per vergogna, ma in attesa del Messia.
Cosa offre Gesù a questa donna? Una nuova prospettiva di vita: non essere più sfruttata dagli uomini, non più schiava dei sensi (i 5 uomini possono rappresentare i 5 sensi), attingere dall'acqua viva che farà più tornare la sete (che è Gesù stesso) e diventare così donatrice di vita per gli altri (acqua che zampilla per la vita eterna).
Beh, qualcuno potrebbe darci di più?








giovedì 3 aprile 2014

La libertà della strada: la storia di Martino

Da un colloquio con un fratello ferito. "Cristo ci ha liberati per la libertà!" (Gl, 1)  
Ma dobbiamo precisare di che libertà stiamo parlando. Ogni persona ha il proprio concetto di libertà, nei confronti di sé stessa e nei confronti degli altri; e non sempre vediamo gli altri con gli stessi occhi e metri di giudizio che applichiamo a noi stessi. Per pigrizia, per mancanza di obiettività, per vergogna.
Ho conosciuto poche persone veramente libere. Magari, molti lo sembrano. Ma quando ci parli... mica tanto.
Martino ha 56 anni, è arrivato in comunità da una settimana, "buttato qui", dice "dal centro recupero malattie psico-fisiche". 
Dai suoi occhi traspare tanta delusione, tristezza nei confronti della vita e "di non essere stato al passo con i tempi", dice lui, intendendo il non aver frequentato corsi professionalizzanti per poter avere, ora che non è più giovane, un lavoro vero ed una pensione in cui sperare.
La bottiglia di alcool puro, cachaça come si chiama qui, è stata la sua compagna inseparabile;  e così gelosa da ottenere che lasciasse casa e famiglia per lei. 
Non sa neanche dove stanno i suoi figli; che sappia, ha 2 nipoti che ha conosciuto, più altri 3 mai incontrati. Della moglie o compagna, manco parla.
Ma lei, la cachaça, lo ha tradito: lo ha preso quando era giovane, in salute, pieno di vitalità e lo la buttato in strada a 54 anni, con una salute e un aspetto da 65enne, senza un quattrino e, soprattutto, senza speranza e fiducia negli uomini per quante ne ha viste in strada.
Per fortuna, però, la droga, dice, non lo ha mai interessato: "Non so il perché. So solo che non ci ho mai pensato, neanche quando la usavano vicino a me. Ma per la cachaça...ah!, quanto mi sono umiliato a chiedere l'elemosina! E io ero uno di quelli che insisteva, eh!".
Cerca di avere pazienza, fratello mio.
"Ah, tranquillo! La pazienza non mi manca... adesso! Non recriminerà con Dio come ha fatto Giobbe alla fine, perché Dio mia ha dato tante possibilità nella vita. Io mi sono rovinato da solo. Ho sempre voluto fare di testa mia. Ma, a un certo punto della mia vita, quello che facevo non era il più il bene per la mia vita, ma il male. Come se volessi farmi del male. E, per strada, tutti ti tirano sempre più giù nel tunnel senza fine".

Coraggio fratello, cerca di vedere almeno in comunità che un po' di amore, in questo mondo, ancora c'è.