La realtà vista da una prospettiva differente

So quello che sono e sogno quello che non posso essere, ma non mi illudo di essere quello che sogno

sabato 24 gennaio 2015

Perché gli occhi del samba sono scuri?

Il samba è immagine di allegria, spensieratezza, piacere, calore, musica, carnevale, eccessi, etc. Perché dovrebbe avere occhi scuri? Perché fare samba è parlare della vita di tutti i giorni.

Vinicius de Moraes, famoso cantautore della Bossa nova, scrive:
Mas pra fazer um samba com beleza
  Per fare un bel  samba

É preciso um bocado de tristeza         
è necessaria molta tristezza

É preciso um bocado de tristeza       

è necessaria molta tristezza
Senão, não se faz um samba não      
 altrimenti non si fa un samba


Fazer samba não é contar piada     

Fare samba non è raccontare una barzelletta

E quem faz samba assim não é de nada  
e chi fa un samba così non vale niente

O bom samba é uma forma de oração  
un buon samba è una forma di preghiera

Spesso il samba va di pari passo con la saudade, intraducibile parola, ben lontana dalla semplice nostalgia: è il ricordo sempre presente di un bel momento, con la speranza che questo si ripeta. Ma è anche la voglia di rivedere una certa persona, un determinato luogo, ascoltare una musica che ha scolpito un momento indimenticabile. È passato, ma accade ancora nel presente, grazie alla speranza nel futuro che non vediamo l'ora che si riavvicini. È un intreccio di piani temporali e spaziali, oltre i limiti della realtà.

Così, il samba ha gli occhi scuri per la mancanza di qualcosa o qualcuno. Per il nostro cuore che non può smettere di sognare e che vuole amare oltre ogni limite. Il tempo che non passa mai o che passa troppo in fretta e le distanze inavvicinabili vengono maledette; poi, superate, sconfitte, sia pure solo nell'immaginazione o in qualche altra ora di samba, di estasi, di girotondo.

È la vita, gli alti e bassi, ma è anche un atteggiamento cosciente di fronte alla vita: il samba ha gli occhi ed è possibile vedere il mondo attraverso di essi. Non è più una breve illusione, allora, ma l'accettare la vita per quello che è, diventando a volte scuri; ma con la determinazione di voler continuare a sambare, nonostante tutto.

E per sambare non c'è bisogno di andare chissà dove. Non c'è bisogno di locali in o di avere il portafogli pieno: va bene anche un angolo di strada, un barzinho semplice con un vecchio suonatore di chitarra con la barba bianca e le dita callose per il lavoro manuale svolto durante il giorno.

E il samba trascina in un vortice di colori chi gli sta attorno. Non puoi ignorarlo. Puoi decidere di non alzarti, di restare seduto o passargli davanti, ma le tue dita, i tuoi occhi o, se proprio non lo vuoi dare a vedere, il tuo cuore non sapranno resistergli e cominceranno a battere a ritmo della musica.

Fermarsi? Sì, perché il tempo è tiranno, ma tu lo puoi ingannare continuando dentro di te a sambare.

Viktor Frankl, fondatore della logoterapia, così lontano dal Brasile e dal ritmo del samba, dice una cosa molto simile:

“La libertà dell’uomo non è libertà da condizionamenti, ma piuttosto libertà per prendere un atteggiamento in qualunque condizione ci si possa trovare”. 
Questo è il samba.

sabato 17 gennaio 2015

Siamo tutti "In cammino"

In cammino (tratto da Gli occhi scuri del samba di Dario Milani)

Scalare,
partire,
decidere:
crescere.

Rendersi conto
che i miei problemi
hanno già attanagliato milioni
di uomini sopravvissuti
o morti.
Eppur non mi basta.
Intanto ci son loro
a tormentarmi,
altalenarmi,
oscillarmi:
la donna,
il viaggio,
l'amore,
il corpo,
il bisogno d'essere amati,
l'esigenza di amare
e la sua continua scuola;

i conflitti,
i rifiuti,
lo sdegno,
l'Ideale,
il Divino,
l'Umano,
l'essenziale e il superfluo.
Il dovere e la scelta.
Il tempo che passa,
la fretta che aumenta,
la piccolezza che cresce,
il senso di impotenza che avanza,
il sentirsi al proprio posto
e la paura d'esserselo creato,
oppure d'essersi adattati
e la (s)voglia di accettarlo.

Il bisogno di sicurezza,
il tedio del prevedibile,
la fede nell'Incommensurabile,
l'umiltà davanti l'irraggiungibile.

Il ritorno,
i rincontri riusciti
e quelli impediti
(da me, da altri, dalla morte),
i conflitti risolti
e quelli irrisolvibili (chissà perché?).

Il dover ritrovare prima di tutto me stesso,
sull'orlo di una pazzia,
prima che questa prevalga
e mi renda da altri dipendenti,
più di quanto già non lo sia
(forse solo per questo
val la pena fuggirla,
non per mancanza di ragioni).
E più guardo il mondo,
più ne son convinto;
ma se guardo il Mio Mondo,
quello raggiungibile dai miei soli occhi,
non mi sembra così complicato:
vedo persone lottare,
con le loro esigenze e virtù,
il loro dare e ricevere,
a volte sproporzionati,
altre meno.

Vedo pure tante relazioni,
persone come me,
che si meravigliano per un sorriso regalato,
ma, a volte, lo ricambiano;
che non mi rivolgono la parola per primi,
ma, ogni tanto, mi rispondono;
che si mostrano forti e decisi,
ma se mostro loro la mia fragilità,
spesso, scoprono le loro ferite
e mi fanno sentire meno solo.

Raramente, ma non mai,
qualcuno cammina piegato
sotto il peso di macigni,
gettatogli da altri o da sé stesso.
Non chiederà mai aiuto,
per esperienza o pregiudizio.
Non faccio altro che guardarlo,
fermarmi se lui si ferma,
camminare se prosegue,
arrancare se zoppica.
Improvvisamente,
il suo peso diminuisce
ed il mio pure.
Resto con lui finché vuole,
poi
proseguiamo per le nostre strade.
Non soli,
non in compagnia:
in cammino.