La realtà vista da una prospettiva differente

So quello che sono e sogno quello che non posso essere, ma non mi illudo di essere quello che sogno

giovedì 24 dicembre 2015

GLI OCCHI SCURI DEL “MIO” BRASILE. DARIO MILANI


Tratto dal sito http://www.voglioviverecosi.com/

GLI OCCHI SCURI DEL “MIO” BRASILE. DARIO MILANI

24/12/2015



Sono arrivato a Salvador per la prima volta a 21 anni. Non conoscevo nessuno e non potevo immaginare che quella sarebbe diventata più della mia seconda casa.
La scelta del Brasile è casuale: conosco in Italia degli amici di Salvador de Bahia che me ne parlano molto bene. Soprattutto, mi sta stretta la mia piccola città natale e sento un forte bisogno di dare alla mia vita un senso che vada oltre un titolo di studio ed un lavoro. Ma non so bene cosa cercare. Basta la prima esperienza, di un mese, per capire che il Brasile non è come me l'avevano descritto, ovvero tutto sole, spiagge e allegria. E' fatto soprattutto di persone che ti parlano senza che tu le cerchi: non solo belle ragazze, ma anche bambini di strada, mendicanti, venditori di droga e tante persone che facilmente iniziano un dialogo con la prima persona che hanno accanto. Mi sento chiamato a conoscerlo meglio.
Dario Milani
Così, terminati gli studi universitari, mi trasferisco a Salvador per 2 anni, interrotti da un breve ritorno in Italia. Come volontario, lavoro in una scuola alla periferia, nel quartiere di Pernambués, offrendo lezioni di informatica a bambini e adolescenti, poi anche agli adulti; successivamente divento il responsabile di una raccolta fondi per acquistare l'edificio che ospitava la scuola. Sembra procedere bene, ma il confronto-scontro quotidiano con la povertà e, soprattutto, le disuguaglianze, mi fa male, mi provoca rabbia e un senso di impotenza, anche e soprattutto verso quella grande fetta di brasiliani che sembra fregarsene totalmente di chi non ha nulla; anzi, a volte ostenta i propri beni. Così, con molto rammarico, dico basta e torno in Italia. Il Brasile mi ha scottato, ho bisogno di riflettere e ricaricarmi. Trovo con un po' di fortuna un lavoro che poi diventerà a tempo indeterminato.
Ma la mia costante ricerca di senso si è ormai associata al seme della saudade, ormai già germogliato in me: mi manca il sole, il calore della gente (di quella semplice), la musica dal vivo e il sentirmi utile. Dopo circa due anni rassegno le dimissioni, faccio qualche altro lavoretto, metto insieme tutti i soldi che ho risparmiato nella vita e torno a Salvador, per rimanerci e comprarvi casa. Nel frattempo mi sono anche sposato in Italia con una ragazza brasiliana, conosciuta a Salvador, quindi ho le carte in regola per ottenere il visto permanente. Cerco di mantenermi dando lezioni private di informatica e italiano.
Gli occhi scuri del mio Brasile
Ma le migliaia di persone che vedo dormire sui marciapiedi mi interpellano sempre di più e lotto contro la mia paura di avvicinarmi. Finché un giorno mi faccio coraggio con uno che vedo sempre sotto casa mia. Gli propongo uno scambio: tutte le sere gli offrirò qualcosa se lui mi parlerà della sua vita. E così conosco Marquinho, che mi mostrerà il mondo dei senzatetto e i luoghi più nascosti di Salvador, accompagnandomi con la sua inaspettatamente originale e profonda visione della vita. Parliamo di tutto, dall'amore ai figli, dal lavoro alla violenza, da Dio ai viaggi, dall'anima al sesso. Ed è naturale per me trascrivere in un libro le nostre esperienze, perché non vadano perse. L'ho chiamato “Gli occhi scuri del Samba”, come ad indicare il lato oscuro e profondo di un paese famoso soprattutto per la spensieratezza. Se siete interessati, sotto trovate i link per averlo. Soprattutto, le esperienze con Marquinho mi hanno fatto intravvedere una ricchezza ignorata dalla maggioranza: gli incontri con chi sta in strada sono diretti, fraterni, emozionanti. Abbracci, baci, carezze, lacrime di commozione e tantissime storie personali raccontate... e questo privilegio solo perché sto lì ad ascoltare! Sì, mi raccontano anche tanto dolore, ma se scelgono di condividerlo con me è perché si sentono accolti. E quando torno a casa sono sempre un po' diverso da quando sono uscito: stanco, ma carico di emozioni e di ricchezza.
Dopo le uscite con Marquinho è inevitabile continuare: adesso partecipo alle attività di una comunità di accoglienza (Comunidade da Trindade) e mi sono organizzato per portare, nelle uscite notturne, anche un po' di cibo, che è comunque secondario rispetto all'ascolto delle persone. Se richiesto, indico possibili centri di accoglienza od accompagno gli eventuali minorenni. E proprio i bambini mi hanno fatto conoscere anche la realtà degli orfanotrofi, così che una volta a settimana vado a fare una visita, insieme ad altri volontari.
Questa, molto sintetizzata, la mia storia, il mio Brasile. Un Brasile in cui inizialmente mi vedevo diviso fra la parte del piacere (le spiagge, la musica, i divertimenti) e la parte fastidiosa (i bambini di strada, i senzatetto), che si è invece rivelata piena di sorprese e sta dando un senso alla mia vita. Egoisticamente, incontrare il popolo della notte fa bene prima di tutto a me.
Chi fosse interessato a fare un'esperienza di volontariato a Salvador de Bahia, può scrivermi:
profdario1@gmail.com
o visitare i miei blog
www.gliocchiscuridelsamba.blogspot.it/ e
www.vivereasalvador.blogspot.it/
Per acquistare il libro “Gli Occhi Scuri del Samba”:
Formato cartaceo
www.lafeltrinelli.it/libri/milani-dario/occhi-scuri-samba/9788891165718
e-book

giovedì 1 ottobre 2015

Notti con i migranti, in Serbia


Ho incontrato Marquinho (ovvero un senzatetto, protagonista del mio libro "Gli occhi scuri del Samba") anche in Europa. 

Non perché lui sia emigrato dal Brasile, ma perché l'ho visto nei volti e nei cuori dei cosìdetti “migranti”, incontrati in Serbia, al confine con la Croazia, più precisamente fra Sid e Berkasovo. 

Questi due tranquilli villaggi di campagna sono il principale punto di accesso per la Croazia e sono stati attraversati da migliaia di migranti nel settembre del 2015. 

Qui, assieme ad altri volontari, mi sono trattenuto per portare un aiuto a chi, carico di borse, figli, stanchezza e, forse, ancora un po' di speranza, scendeva dagli autobus, percorreva sentieri fra i campi, verso la frontiera e, dopo, si dirigeva al campo di Opatovac, i più fortunati su autobus, altri a piedi (15km a volte di notte e sotto l'acqua). 

Ma in pratica cosa facevamo? Ognuno se lo immagini: dopo ore di autobus provenienti dalla Macedonia, dopo giorni di viaggio dalla Siria (la maggior parte), dopo aver dovuto lasciare molti bagagli sulla strada, dopo le urla della polizia in svariate lingue, di cosa può aver bisogno un essere umano? 

Certe notti c'era da aspettare al fresco e fra piovaschi, nel buio rischiarato da torce a dinamo o cellulari. 

La strada era scivolosa e scura e qualcuno portava figli e bagagli. 

Perché siete qui? Lo domando loro e loro lo domandano a me. 
Perché c'è la guerra? 

Chissà se si aspettavano così tanta strada da percorrere... chissà se la immaginavano così impervia... 

Alcuni dicono che la Serbia è il primo Paese in si sono sentiti trattati da esseri umani. 

Dove andate? Germania, Austria, Svezia. Pace, famiglia, lavoro. 

E poi? Poi si vedrà. 
Mi stupisce la calma e la gentilezza con cui ringraziano per banali gesti di solidarietà: dopo giorni di viaggio la stanchezza potrebbe indurre in atteggiamenti di frustrazione-disperazione. Invece niente. Attendono ore e ore nella notte, bagnati, che la polizia croata apra la frontiera e li carichi sugli autobus, verso un campo di accoglienza strapieno. 

Alcuni non sanno neanche in quale confine si trovino. 

Riesco a scambiare più di due parole con una coppia; lei è incinta di 6 mesi. Ci diamo i rispettivi contatti facebook. Chissà da dove mi risponderanno, fra qualche settimana...

sabato 24 gennaio 2015

Perché gli occhi del samba sono scuri?

Il samba è immagine di allegria, spensieratezza, piacere, calore, musica, carnevale, eccessi, etc. Perché dovrebbe avere occhi scuri? Perché fare samba è parlare della vita di tutti i giorni.

Vinicius de Moraes, famoso cantautore della Bossa nova, scrive:
Mas pra fazer um samba com beleza
  Per fare un bel  samba

É preciso um bocado de tristeza         
è necessaria molta tristezza

É preciso um bocado de tristeza       

è necessaria molta tristezza
Senão, não se faz um samba não      
 altrimenti non si fa un samba


Fazer samba não é contar piada     

Fare samba non è raccontare una barzelletta

E quem faz samba assim não é de nada  
e chi fa un samba così non vale niente

O bom samba é uma forma de oração  
un buon samba è una forma di preghiera

Spesso il samba va di pari passo con la saudade, intraducibile parola, ben lontana dalla semplice nostalgia: è il ricordo sempre presente di un bel momento, con la speranza che questo si ripeta. Ma è anche la voglia di rivedere una certa persona, un determinato luogo, ascoltare una musica che ha scolpito un momento indimenticabile. È passato, ma accade ancora nel presente, grazie alla speranza nel futuro che non vediamo l'ora che si riavvicini. È un intreccio di piani temporali e spaziali, oltre i limiti della realtà.

Così, il samba ha gli occhi scuri per la mancanza di qualcosa o qualcuno. Per il nostro cuore che non può smettere di sognare e che vuole amare oltre ogni limite. Il tempo che non passa mai o che passa troppo in fretta e le distanze inavvicinabili vengono maledette; poi, superate, sconfitte, sia pure solo nell'immaginazione o in qualche altra ora di samba, di estasi, di girotondo.

È la vita, gli alti e bassi, ma è anche un atteggiamento cosciente di fronte alla vita: il samba ha gli occhi ed è possibile vedere il mondo attraverso di essi. Non è più una breve illusione, allora, ma l'accettare la vita per quello che è, diventando a volte scuri; ma con la determinazione di voler continuare a sambare, nonostante tutto.

E per sambare non c'è bisogno di andare chissà dove. Non c'è bisogno di locali in o di avere il portafogli pieno: va bene anche un angolo di strada, un barzinho semplice con un vecchio suonatore di chitarra con la barba bianca e le dita callose per il lavoro manuale svolto durante il giorno.

E il samba trascina in un vortice di colori chi gli sta attorno. Non puoi ignorarlo. Puoi decidere di non alzarti, di restare seduto o passargli davanti, ma le tue dita, i tuoi occhi o, se proprio non lo vuoi dare a vedere, il tuo cuore non sapranno resistergli e cominceranno a battere a ritmo della musica.

Fermarsi? Sì, perché il tempo è tiranno, ma tu lo puoi ingannare continuando dentro di te a sambare.

Viktor Frankl, fondatore della logoterapia, così lontano dal Brasile e dal ritmo del samba, dice una cosa molto simile:

“La libertà dell’uomo non è libertà da condizionamenti, ma piuttosto libertà per prendere un atteggiamento in qualunque condizione ci si possa trovare”. 
Questo è il samba.

sabato 17 gennaio 2015

Siamo tutti "In cammino"

In cammino (tratto da Gli occhi scuri del samba di Dario Milani)

Scalare,
partire,
decidere:
crescere.

Rendersi conto
che i miei problemi
hanno già attanagliato milioni
di uomini sopravvissuti
o morti.
Eppur non mi basta.
Intanto ci son loro
a tormentarmi,
altalenarmi,
oscillarmi:
la donna,
il viaggio,
l'amore,
il corpo,
il bisogno d'essere amati,
l'esigenza di amare
e la sua continua scuola;

i conflitti,
i rifiuti,
lo sdegno,
l'Ideale,
il Divino,
l'Umano,
l'essenziale e il superfluo.
Il dovere e la scelta.
Il tempo che passa,
la fretta che aumenta,
la piccolezza che cresce,
il senso di impotenza che avanza,
il sentirsi al proprio posto
e la paura d'esserselo creato,
oppure d'essersi adattati
e la (s)voglia di accettarlo.

Il bisogno di sicurezza,
il tedio del prevedibile,
la fede nell'Incommensurabile,
l'umiltà davanti l'irraggiungibile.

Il ritorno,
i rincontri riusciti
e quelli impediti
(da me, da altri, dalla morte),
i conflitti risolti
e quelli irrisolvibili (chissà perché?).

Il dover ritrovare prima di tutto me stesso,
sull'orlo di una pazzia,
prima che questa prevalga
e mi renda da altri dipendenti,
più di quanto già non lo sia
(forse solo per questo
val la pena fuggirla,
non per mancanza di ragioni).
E più guardo il mondo,
più ne son convinto;
ma se guardo il Mio Mondo,
quello raggiungibile dai miei soli occhi,
non mi sembra così complicato:
vedo persone lottare,
con le loro esigenze e virtù,
il loro dare e ricevere,
a volte sproporzionati,
altre meno.

Vedo pure tante relazioni,
persone come me,
che si meravigliano per un sorriso regalato,
ma, a volte, lo ricambiano;
che non mi rivolgono la parola per primi,
ma, ogni tanto, mi rispondono;
che si mostrano forti e decisi,
ma se mostro loro la mia fragilità,
spesso, scoprono le loro ferite
e mi fanno sentire meno solo.

Raramente, ma non mai,
qualcuno cammina piegato
sotto il peso di macigni,
gettatogli da altri o da sé stesso.
Non chiederà mai aiuto,
per esperienza o pregiudizio.
Non faccio altro che guardarlo,
fermarmi se lui si ferma,
camminare se prosegue,
arrancare se zoppica.
Improvvisamente,
il suo peso diminuisce
ed il mio pure.
Resto con lui finché vuole,
poi
proseguiamo per le nostre strade.
Non soli,
non in compagnia:
in cammino.