La realtà vista da una prospettiva differente

So quello che sono e sogno quello che non posso essere, ma non mi illudo di essere quello che sogno

giovedì 27 gennaio 2011

1. Di notte...




Quando il sole si abbassa dietro l'isola di Itaparica1 e le persone applaudono, chi alla Natura, chi al Dio cristiano, chi ad Òrun2 per ringraziarlo dello spettacolo quotidiano gratuito, e per la nuova venuta della notte, tempo di riposo, divertimento e mistero; nonché della luna, Oxú, ispiratrice di sogni e compagna degli amanti; e quando il vento fresco dell'oceano comincia a temperare il torpore di un'altra giornata tropicale, ecco, questo è il momento in cui inizia la magia nella città di Salvador, in quella vera, che non vuole e non sa adattarsi al conformismo e vive ancora dei vicoli stretti e ripidi, con un pavimento di pietre irregolari, con quegli occhi neri, grandi, luccicanti e la pelle color ebano. La miriade di luci dei grattacieli dei quartieri più ricchi, che coccolano manager, liberi professionisti e impiegati, si lasciano accompagnare dalle ben più numerose e fioche luci del resto della popolazione, che affronta la vita giorno per giorno, con il cuore mai tanto preoccupato per i problemi materiali, da non saper apprezzare una notte come questa, con quella luna che è come una madre che viene a coccolare e ravvivare i capelli, sussurrandoti all'orecchio parole d'amore. E, almeno per un po', tutti, nella parte più povera, si dimenticano di non poter ancora comprare la tanto sognata lavatrice, un nuovo frigorifero, un computer e di dover mangiare di nuovo riso e fagioli. Come per miracolo, nemmeno pensano a quello che non possono possedere o fare, perché, grazie a Dio, hanno già un tetto, una famiglia e dei figli. Almeno finché il nostro buon Dio continuerà a regalarci notti come questa, la nostalgia, l'invidia, e i sentimenti negativi non prevarranno mai nei cuori dei semplici. Non per una eroica scelta di umiltà, o per una capacità di sopportazione disumana; semplicemente per essere nati in un certo contesto sociale e familiare. Sempre che il nostro cuore non sia stato artefatto ed abbia assorbito abbastanza energia dalla tradizione e dalla Natura gratuita.

Fu in una notte come questa che lo incontrai per la prima volta: un'ombra qualunque nella notte, un corpo magro buttato per terra di fronte al cancello del mio condominio, nel centro di Salvador. Non so se dormisse o guardasse nel vento, se pregasse o sognasse, ma certo non era preoccupato di essere sporco dalla punta dei capelli alle unghie dei piedi e senza una maglietta da indossare, sopra ad un paio di bermuda ormai sfiniti. Al collo, portava un rosario di legno scuro. Ma non lo fissai a lungo e gli scorsi vicino.
E la notte seguente, rieccolo sotto casa, ma stavolta ben sveglio e rivolgendosi proprio a me. Sta frugando in mezzo ai sacchi di spazzatura, aprendoli per cercare la sua cena; capisco, tristemente, che se la notte se ne sta lì, è anche per usufruire degli avanzi del vicino ristorante, da dividere però con ratti, formiche e insetti vari. Mi chiede qualche moneta per comperarsi un pane. E così anche nelle due sere seguenti.
Quell'azione per me materialmente insignificante, provoca un crescendo di pensieri molto più profondi di un semplice gesto, che in realtà erano già stati seminati nella mia mente dallo spettacolo quotidiano per le strade della città. Sono, infatti, tantissimi i senzatetto a Salvador, di tutte le età e in quasi tutti i quartieri. Durante il giorno mi domando sempre più spesso che differenza ci sia tra me e loro, oltre a quello che mangiamo; quale merito avrei mai io di essere nato in una normale famiglia italiana? E, volendo ampliare i miei interrogativi, rasentando anche il confine delle domande idioti-improponibili, perché libero cittadino del mondo in questo secolo e non servo della gleba nel Medioevo o rematore di una triremi romana o uomo di Neanderthal?
Ma cosa ci possiamo fare se siamo costantemente tartassati da interrogativi, curiosità, inquietudini? O, dopo l'adolescenza, periodo in cui le questioni sono disordinate quanto stringenti, chiudiamo la bocca alla nostra coscienza, tuffandoci ciecamente nelle certezze più o meno solide e soddisfacenti messe in piedi da altri (tradizione e abitudine, mercato, gruppo di amici e famiglia), oppure indaghiamo, scaviamo, apriamo nuovi orizzonti, senza tapparci in tranquillizzanti rifugi che finiscono per curarci le ferite, bendarci e farci accontentare del piccolo appezzamento conquistato.
Certo, queste domande non possono trovare ma una risposta mi incuriosiscono su come sia la vita dei senzatetto di Salvador, per conoscere se la loro vita è davvero così o più disgraziata di come sembra, o se è solamente molto diversa dalla nostra; nella prima ipotesi, potrò considerare una possibile forma di aiuto, almeno per alcuni di loro.
Comincio con l'osservarli più attentamente: ce ne sono di quelli che se ne stanno fuori dai centri commerciali o dai supermercati, aspettando qualche briciola e vedendo centinaia di persone uscire con borse cariche di viveri (che loro non possono comprare in tale quantità), e di tante cose superflue (che non possono comprare neanche in piccola parte) e che le carica in auto (che loro non possiedono). O di quelli che se ne stanno sdraiati sopra un cartone al bordo del marciapiede, o ai semafori, o a fare il bagno in una fontana o al porto. Alcuni rimangono sempre al solito posto (supermercato, chiesa, angolo di strada, giardino), altri cambiano ogni giorno o seguono un ciclo settimanale.
Sento il bisogno di parlare loro. Certo, non è facile, abituati, sia noi che loro, a mantenere una sorta di vetro invisibile che impedisce l’instaurarsi di un dialogo che vada oltre una rapida e concisa richiesta di aiuto, una eventuale risposta e, ancora più occasionalmente, un frettoloso domandarci perché quella persona si trovi in tal situazione; e, magari, proviamo pure un po' di pena che, comunque, due minuti dopo è già lontana. È tutto molto formale, se entrambe le parti non hanno intenzione di eccedere la regola. E, generalmente, nessuna delle due ce l'ha: l'una, importunata e frettolosa, preferisce gettare qualche avanzo metallico senza guardare o, tutt'al più, abbassando lo sguardo per due secondi; l'altra perché mira unicamente a conseguire qualcosa di materiale. Non v'è interesse alcuno per il dialogo.
Sperimento proprio queste difficoltà, nei miei primi tentativi di abbordaggio: se li aiuto subito, le risposte alle mie domande diventano svogliate e monosillabiche; al contrario, se prima li interrogo, o sono ugualmente concisi perché comunque qualcuno che gli dia qualcosa senza fare noiose domande lo trovano comunque, oppure cercano di aggravare la loro situazione, volendomi impietosire affinché, finalmente, dia loro un cospicuo aiuto.
Tuttavia non mi scoraggio e continuo con i miei tentativi d'approccio. Del resto, leggere semplicemente uno o più libri di sociologia, articoli di giornale e documenti vari, non mi soddisfa, benché i numeri mi aiutino a cominciare ad intendere la realtà in questione, pur sapendo che un preciso censimento dei senzatetto risulta pressoché impossibile. I numeri che si trovano in rete sono a volte contrastanti: secondo il ministero dello sviluppo sociale e della lotta alla fame, nel 2008, i senzatetto a Salvador erano 3.2893 , nel 2009 erano scesi a 2.0104; fra questi, il 79,8% sono uomini, il 60,2% ha fra i 18 e i 39 anni e l'80% lavora, soprattutto come raccoglitori di rifiuti riciclabili. È soprattutto grazie a questi lavoratori silenziosi e senza alcuna assistenza sociale che il Brasile è il maggior riciclatore di alluminio al mondo5.
Dunque, per andare oltre queste cifre, devo trovare il momento giusto per parlare con qualcuno di loro; e mi ricordo di quel mendicante che, di notte, se ne sta sempre sotto casa mia e che mi ha rivolto lui stesso, per primo, la parola.
Aspetto la sera, pensando dentro di me alle parole più appropriate per la proposta che ho in mente; sarà molto difficile improntare una relazione totalmente disinteressata, di pura amicizia, ma vale la pena provare.

Ed eccolo davanti a me, al solito posto, e che mi rivolge le stesse parole dei giorni precedenti, per ottenere qualche centesimo. Ed io inizio come avevo programmato: “Amico, come ti chiami?”. “Marquinho”. “Io, Jairo. Senti, sto vedendo che i miei aiuti ti servono ben poco, perché tutte le sere ti ritrovo qui, a frugare nei rifiuti e chiedermi una mancia. Sai, ce ne sono tanti che mi chiedono qualche centesimo, quindi non posso aiutare solamente te. Allora, ti voglio proporre un modo per guadagnarti il pane, almeno per la sera”. Forse sono stato un po' brusco... Marquinho resta ad ascoltare, incuriosito; proseguo: “Mi piacerebbe sapere qualcosa di te, della tua vita, di quello che pensi e fai, delle tue aspettative e di quello che sai delle altre persone che vivono in strada. Vorrei incontrarti ogni sera per parlare; in cambio ti offrirei un panino ed una birra. Quindi non sarebbe più un'elemosina, ma un lavoretto. Non dovresti far altro che parlarmi di te e rispondere liberamente alle domande, da amici”. Marquinho è ancora più incuriosito. Dice che va bene, ma che non vede niente di interessante in lui da poter interloquire tutti i giorni; e che mi sarebbe presto venuto a noia. Comunque non ha che da guadagnarci e vuole incominciare da subito, dato che non mangia niente da stamattina, afferma. Io allora vado velocemente in casa a prendere il mio piccolo registratore e ci sediamo al bar dell'angolo.

1Itaparica è la maggiore delle isole presenti nella Baia de Todos os Santos, sulla quale si affaccia Salvador. All'approssimarsi del tramonto, molte persone si radunano nei pressi del faro (Farol da Barra), situato sull'estremità della penisola in cui si trova Salvador e che è anche una delle principali attrazioni turistiche della città. Al tramonto, dopo che il sole si è abbassato marcando il profilo dei leggeri rilievi dell'isola, tutti i presenti sono soliti battere le mani per il suggestivo spettacolo.
2 Nel Candomblé, una religione originaria dell'Africa molto diffusa a Salvador, è la divinità del Sole.

3http://correio24horas.globo.com
4www.grupomidia.com
5La questione e le cause di tale situazione sono troppo complesse da poter essere affrontate esaurientemente. Tuttavia ritengo interessante riportare ulteriori dati: nell'indagine del 2008, le persone interrogate sul motivo per cui vivessero in strada allegavano per il 12,7% problemi legati alla droga e all'alcool, per il 12,5% conflitti familiari, per l'8,4% la disoccupazione mentre il resto non ha risposto. Inoltre, il 35,3% viveva in strada o in case d'accoglienza da almeno 5 anni e solo il 44% possedeva un documento di identità. Alcuni studiosi hanno indicato nella chiusura dei manicomi, cominciata nel 2005 e che ospitavano circa 1,200 persone, il motivo dell'aggravio di tale situazione; secondo una ricerca della scuola baiana di medicina, infatti, circa il 22 % degli abitanti di strada ha seri trastorni mentali (fonte http://correio24horas.globo.com).

Premessa: perché un blog, perché gli occhi scuri del samba

Scrivere un blog può essere un banale passatempo, una maniera di tener traccia dei propri pensieri (quasi come un diario pubblico), il tentativo di chiamare l'attenzione e di mostrare la propria originalità (in una società che in ogni modo vuole renderci uniformi nei gusti e nei comportamenti) o una delle possibili valvole di sfogo di chi sente che, finita un'altra scialba giornata di lavoro, può finalmente dare inizio all'espressione del proprio io.
Forse, per me, è una somma di tutti questi elementi e queste parole sono il risultato di chi, umilmente, vuole far sentire la propria voce, sperando soprattutto di poter avviare uno scambio di pensieri che vada oltre una semplice chat, quasi per arrivare alle forme di corrispondenza di un tempo (che io, per motivi anagrafici, non ho mai provato), quando si riceveva la lettera di un amico lontano, ci sedevamo alla scrivania con carta e penna e con il pensiero cominciavamo a fantasticare sulla persona cara, su luoghi lontani e sul nostro prossimo viaggio per visitarli ed uscire dalla routine. Poi, quando non sapevamo più cosa scrivere, tornavamo alla nostra giornata. O meglio, così credo che avvenisse per la generazione precedente alla mia.
Ma forse, per pubblicare qualcosa teoricamente visibile da ogni parte del mondo serve anche un mix di presunzione (per pensare di aver qualcosa di interessante da esternare) e ingenuità (per credere che ci sia qualcuno che ti legga).

Perché ho scelto questo nome per il blog? Perché il samba è una musica umile e popolare, sorretta da ritmi variegati e spesso mutevoli; è schietta, spesso improvvisata, perché non deve inventarsi niente, ha già tutto quel che le serve in questo caleidoscopio di vita: amore, passione, entusiasmo, frenesia, illusione, sogno, speranza, nostalgia, ricordi, tristezza, solitudine, oscurità.
Di questo parla il samba e di questo intendo parlare attraverso gli spunti che la realtà passa ai miei occhi scuri in questa notte.