La realtà vista da una prospettiva differente

So quello che sono e sogno quello che non posso essere, ma non mi illudo di essere quello che sogno

domenica 4 marzo 2012

LETTERA DEL FIGLIO DI UN PESCATORE IN GIRO PER IL MONDO

"Caro, dolcissimo papà,
ti scrivo seduto sul molo del porto di questa cittadina dell'Australia, chiamata Townsville. Sono ormai sette mesi e mezzo che mi trovo qui ed è arrivato il giorno del mio compleanno, un altro passato lontano dalla mia Bahia e da te. Sappi, per prima cosa, che sento molto la tua mancanza e spero che tu non dubiti mai del bene che ti voglio: se questa fase della vita mi ha portato così lontano da te, non rimprovero la sorte né tanto meno Dio, perché sono io ad aver fatto tale scelta; non prendertela nemmeno tu. Tuttavia, lo sappiamo entrambi, non è facile la strada che sto percorrendo e, a volte, vorrei tornare di corsa da te e dal calore del mio popolo. Fortunatamente il mare mi aiuta tanto, anche a sentirti vicino e ricordare i momenti passati insieme in balia della forza delle onde o della dolcezza del loro cullare. Adesso sto guardando l'orizzonte, come immagino che faccia pure tu, ogni giorno. Sai, tutt'oggi non riesco a rinunciare a pregare guardando il mare...
Comunque, ti scrivo per risponderti che ancora non me la sento di tornare nella mia terra (lo so che speri di leggerlo ogni volta che apri le mie lettere): ci sono tante cose che voglio capire prima di prendere una decisione definitiva; e sono certo che questo tempo mi stia facendo crescere parecchio. Parlo, cioè, della risposta a quesiti che, forse, tu non hai mai avuto bisogno di porti; in particolare, quale sia il mio posto nel mondo.
Mi hai sempre detto che il nostro mare non ci abbandona mai; ed allora io gli parlo spesso e so che, indipendentemente da quale parte del mondo gli rivolga la parola, lui mi ascolta e mi dice di seguirlo, senza mostrarmi né verso quale la meta, né per quanto tempo, né se giungerò mai in alcun posto. Se mi sono fermato in questa cittadina, è perché qui ho trovato un luogo accogliente, sia per la popolazione semplice, che per il clima mite e soleggiato (ci sono circa 330 giorni di sole l'anno!). E la pesca è facile da queste parti, cosicché se nessuno mi contratta per uscire in peschereccio e se non trovo qualche lavoretto al molo, o alla vicina osteria, pesco con la mia barchetta e vendo al mercato; e me la cavo abbastanza bene.
Ma certo, di notte, non c'è compagnia che cancelli la mia nostalgia e le mie domande senza risposta. Il mare culla, ma ti ricorda sempre della distanza tra te e lui, del tuo continuo bisogno di artifici e precauzioni per navigarlo; puoi, sì, avventurarti a nuoto nelle sue acque, ma guai ad abbassare la guardia o a voler percorrere una distanza troppo lunga: giustiziere freddo della tua insolenza, ti divorerebbe per la mancanza di rispetto e riverenza. Esso mi ha insegnato il senso del sacro, dell'irraggiungibile e della limitatezza umana, all'opposto della sua smisurata grandezza e potenza. E, allora, l'oceano non è più soltanto una presenza positiva e rassicurante, nonché la principale fonte di guadagno, ma la metafora della mia vita, delle mie aspettative e dei miei sogni di bambino.
Ti ricorderai sicuramente, mio caro papà, di quante volte ti chiedevo cosa ci fosse al di là del mare, di quell'orizzonte che non avevi mai attraversato, neanche col pensiero. D'altronde, non ce n'era ragione: avevi la tua famiglia, una moglie che amavi e ami con una dolcezza e un'intensità incredibili, quattro figli da crescere, in anni in cui molte più famiglie passavano la fame, nel nostro caro nordest e per la quale avevi deciso di trasferirti in città, dove il mercato del pesce era grande, ma le radici, ahimè, tutte da mettere. Ricordo le volte in cui ripetevi che il pescatore era il mestiere che avevo nel sangue e che tuttavia non mi avresti mai forzato a farlo per tutta la vita, se mi fossi trovato un'altra attività dignitosa, in grado di mantenere me e la mia futura famiglia. So anche – lo leggo tra le righe che mi hai scritto, quando mi domandi se la notte mi sento solo – che mi vorresti dire che adesso ho l'età per farmi una famiglia, che dovrei tornare e cercare nella nostra Bahia una ragazza seria, semplice e disponibile a vivere per tutta la vita al mio lato, che accompagni con la sua sensibilità femminile il mio carattere schietto e il mio sguardo già indurito dal sole, ma ancora capace di emozionarsi per un tramonto. So che la mia cara mamma ha saputo darti tutte quelle emozioni alle quali il mare, senza mezze misure, ti aveva già iniziato nella tua giovinezza. Ma il mare, caro papà, insegna soprattutto a saper aspettare ed osservare; per prendere la decisione giusta, verificare l'integrità dello scafo prima di andare a caccia di prede e saper leggere il cielo e gli altri elementi naturali, per non incappare in una tempesta.
Ebbene, sento che non è ancora giunto il momento di intraprendere la rotta del ritorno: prima, devo dare un senso ai miei giorni, trovare qualcosa che vada al di là della sopravvivenza e della curiosità per le città del mondo e per i suoi popoli; e pure del mare.
Mi hai insegnato a diventare presto un vero uomo, come lo intendi tu: saper badare a me stesso, imparare un mestiere e il significato delle parole dignità ed onestà. Ma tutto questo, da un po' di anni, non mi basta più.
Caro, dolce papà, probabilmente non ti piaceranno questi miei pensieri, che neanch'io ho ben chiari, ma preferisco non nasconderti niente, confidando nella tua comprensione ed accettazione.
Ricorda che ti porto sempre nel mio cuore e nella mia anima e che il Signore ti accompagni.
Tuo figlio Moisés”